Secure A Copy Avraham Bogatir Hét Napja; Hová Tűntek A Katonák? A Történet Vége Penned By G. György Kardos Made Available In Text
druze!
Dolente e malinconico, ma anche pervaso da una gradevole vena ironica È stata una cosa da nulla, una pura formalità, inutile come il pisello del Papa e un forte senso di ineluttabilità propri degli ebrei orientali, I sette giorni di Avraham Bogatir è del tutto simile al suo protagonista, disincantato e a tratti
stupefatto e stupefacente, disorientato e rassegnato.
Ma umanamente retto, e con la schiena dritta, nonostante sempre più incurvato trascini i propri passi negli scarponi deformi, nonostante il suo malumore, che aumenta via via al sommarsi delle disavventure e degli avvenimenti in terra di Israele prima ancora che lo stato diventi tale.
È un ebreo russo tutto dun pezzo, Avraham Bogatir, uno che arrivato dallest Europa, in quella che diventerà la yiddishe medine, prima ancora che gli inglesi rimettano in mandato nelle mani dellONU, e prima ancora che i fatti delinsanguinino tutta la Palestina, si comporta seguendo la sua coscienza morale anziché la sua razza, le parole della Bibbia anziché quelle di di Theodor Herzl e quelle di Ben Gurion i sapientoni parlano come se vivessimo ai tempi di re David.
No, Bogatir, Ben Gurion non è re David , la sua fede anziché le leggi che gli uni e gli altri vorrebbero imporre alla sua umanità,
I fatti, quelli politici reali e quelli della vicenda romanzata raccontata dallungherese György Kardos, si svolgono nela Beer Tuvia, dove ancora, sotto il controllo dei militari inglesi, ebrei e arabi convivono più o meno pacificamente, anche se la politica del Divido et imperio di Ben Gurion che diverrà nelil primo Primo Ministro dello stato di Israele, che ha già iniziato a seminare odio e diffidenza, inizia a insinuarsi in maniera subdola, repressiva e sanguinaria, anche tra Bogatir e la sua gente.
Ma è un uomo tutto dun pezzo Avraham, uno che non esita a nascondere nella sua campagna spacciandolo come un bracciante inviatogli dalla città di Gerusalemme un giovane terrorista dellIrgun, solo perché lo vede giovane e spaesato solo perché la Bibbia gli ordina di amare il suo nemico solo perché lui è amico degli inglesi, quando sono bravi, è amico degli arabi, quando sono gli stessi arabi inoffensivi con cui è in commercio da quando è a Beer Tuvia, ed è amico anche degli ebrei, quando non sono falsi e traffichini.
È pieno dindignazione, però, e se la prende col mondo che gli impedisce di concentrarsi sulle proprie sventure cambiando continuamente direzione al suo malumore, con quello stesso mondo in cui tutto sembra attentare alla sua tranquillità a partire dalla moglie, che lo sfinisce borbottando e lamentandosi senza sosta, ma anche dalla giovane figlia, che lo assiste nei campi e nella vendita ma è più vivace di una cavalletta, o dal figlio fuori di testa, che impazzito dopo la morte del fratello sono costretti spesso a chiudere in casa per evitare che diventi pericoloso per sé e per gli altri e al suo unico desiderio, che sarebbe quello di poter coltivare in pace la sua terra con gli inglesi, quando non danno fastidio e che se ne andassero il più velocemente possibile a casa loro, e con gli arabi e gli ebrei di tutto il mondo che leggendo questo romanzo, più che mai, si capisce quanto poco voglia dire “ebreo” da solo, se non gli si affianca vicino laggettivo “sefardita”, o “sionista”, o “ashkenazita“ o “europeo” in fuga dallEuropa post nazista o anche quello di poter ascoltare e parlare di poesia, con gli occhi languidi e magari sospirando più che sbuffando con la bella e affascinante moglie russa del suo primo padrone, di quando ancora lavorava, egli stesso, come bracciante.
Leggere questo romanzo, lungo e intenso, scritto fitto fitto, in contemporanea alla lettura del saggio di Ilan Pappé “sitelinkLa pulizia etnica della Palestina”, ha avuto il pregio di permettermi di visualizzare rapidamente i complessi scenari politici e sociali che fanno da prologo e da antefatto ai fatti descritti da Pappé, e comprendere quanta insensatezza, e quanto opportunismo, e disinteresse, ci siano stati da parte dellEuropa e degli Stati Uniti, ma anche da parte degli stati arabi confinanti.
Non entro nel merito della situazione politica del conflitto vero e proprio fra Israele e Palestina, eviterò di farlo anche quando riuscirò a scrivere qualche parola sul saggio, ma anche da questopera romanzata di Kardos, che ha il pregio, grande, di non schierarsi in nessun modo ma, anzi, di rivendicare linsensatezza di tante delle operazioni politiche, militari e non intraprese da ogni parte, si evince la complessità della situazione, difficilmente riconducibile a un solo popolo colpevole e responsabile di quanto avviene ormai da sessantanni da quelle parti.
Se solo ci fossero stati più Bogatir, già allora, se solo la Torà fosse stata compresa un po meglio e ascoltata un po di più, se solo ciascuno si fosse sentito responsabile anche per chi aveva al proprio fianco indipendentemente dalla razza o dalla religione.
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I sette giorni di Avraham Bogatir, che narra appunto dei sette giorni durante i quali il protagonista si trova a nascondere il ragazzo, apprendo dalla pagina di Wikipedia ungherese sullautore, è parte di una trilogia, i cui due successivi titoli, però, non sono stati tradotti da noi.
Peccato.
Avraham Bogatir hét napja regény,
Hová tűntek a katonák regény,eredeti címén: Sasok a porban
A történet vége regény,
Avraham Bogatir's Seven Days romanzo,
Dove sono andati i soldati romanzo,titolo originale: Sasok nella polvere
The End of the Story romanzo,
traduzione Google Traslate
Eppure non riesco a capire perché hai aiutato il ragazzo.
Tu ci odi, fattore. Anzi, non ce lhai neanche nascosto, e questo torna in tuo onore,
Ma allora perché dimmi, perché
Avraham, che è già sulla porta, si gira, e la sensazione di avere già un piede allesterno gli dà coraggio.
Cera da noi a Charkov un rabbino miracoloso di gran fama, Shajele Fish, A questo Shajele si poteva chiedere consiglio su tutto ciò che preoccupava la gente, e rispondeva persino a noi bambini come se fossimo adulti, a massimo aggiungeva ogni volta: Hajmele, bist dummes Kind.
Hajmele, sei uno stupido bambino, Andavamo già a scuola, quando una volta chiedemmo a Shajele: Qual è la differenza tra il Nuovo Testamento dei goyim e lAntico Testamento degli ebrei, Shajele ci rispose in modo assai conciso: Hajmele, bist dummes Kind, Il profeta dei goyim ha detto: Ama il tuo nemico, Nella nostra Torà, invece è scritto: Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da bere,
Salute, compagno! LUOMO CHE AVREBBE VOLENTIERI SCAMBIATO SUA MOGLIE PER UN CAPPELLO, O ANCHE MENO
La storia di un ebreo della Grande Russia da Charkiv/Charkov in Ucraina che emigrato in Palestina la terra dei Filistei allinizio del secolo scorsodiventa agricoltore, prima bracciante, poi si mette in proprio, coltivatore diretto.
Un colono che nellestate del, oltre farsi aiutare dalla figlia, può permettersi di assumere un lavorante,
Un lavorante che in realtà lui protegge e nasconde, in quanto giovanissimo membro dellIrgun fuggitivo e ricercato,
Nonostante il protagonista abbia idee completamente diverse, è aperto e tollerante e accogliente verso tutti gli ebrei e gli arabi e gli armeni, e lo è ancora di più per un ragazzo che rischia una condanna, e forse anche una sentenza di morte.
Due popoli, arabi ed ebrei, che si contendono da millenni quel fazzoletto di terra,
La spirale repressioneterrorismo cresce durante il mandato occupazione britannico e raggiunge il suo apice nei mesi prima della partenza delle truppe inglesi e della seguente nascita dello Stato dIsraele.
Il romanzo è ambientato nella rovente estate delper un periodo che come dice il titolo dura una settimana, da martedì a martedì,
Un conflitto che al principio contrappone i sionisti di sinistra tra cui il protagonista, Avraham Bogatir, ai sionisti di destra, i nazionalisti, e al loro braccio armato dellIrgun.
Ebrei che sono sefarditi e ashkenaziti, chi proviene dai lager nazisti, chi dal medioevale Yemen, chi dai ghetti e i villaggi dellEuropa orientale, rivoluzionari e rabbini, a braccetto o lun contro laltro armati.
Ironia della sorte, Bogatir allo scoppiare della Grande Guerra si arruola nellesercito turco, e dice che era proprio buffo come i soldati turchi facevano il presentatarm.
Poi, siccome di turco sapeva solo due parole, pane e acqua, e siccome in Oriente, i turchi combattevano insieme ai tedeschi contro gli inglesi, Bogatir passò nellesercito tedesco e nelsi trovò sul fronte russo, lui che è proprio ebreo russo: ma prima di sparare una sola cartuccia si ritrova prigioniero e torna in Palestina solo nel.
Di György Kardos, nato e morto a Budapest mi pare esista solo questopera tradotta in italiano, e anche questa è ormai da tempo fuori catalogo.
Difficile trovare notizie biografiche se non nella sua madre lingua, lungherese: anche il libro edito da e/o è avaro sullargomento,
Epperò, Kardos, che passò diversi anni in Palestina, prima e dopo la nascita dello Stato dIsraele, e quindi conosceva bene e da vicino la materia che ha raccontato in queste pagine pubblicate nel, Kardos è stato anche sceneggiatore: una carriera lunga una ventina danni, con diversi titoli allattivo, tra cui anche la miniserie RAI in quattro puntate “Il treno per Istanbul” del, diretta da Gianfranco Mingozzi, adattata dal romanzo di Graham Greene proprio da Kardos insieme al regista e a Giacomo Battiato.
È bello seguire Avraham Bogatir nelle ventiquattro ore di ogni singolo giorno di questi sette giorni che il titolo ci ricorda: i pasti, gli esigui lavaggi, il lavoro nei campi con dettagli tecnici, le diverse coltivazioni, il cavallo Balkan che ha qualcosa di umano e il calesse che gli viene attaccato, il tempo passato col ragazzo fuggitivo, la gita a Gerusalemme, i brividi per altre donne, la moglie che lo manda ai matti con le sue lamentele, il figlio matto davvero, un altro figlio defunto, la figlia gagliardissima, larresto a opera degli inglesi, il coprifuoco e gli innumerevoli varchi di controllo da superare, gli incontri i silenzi e le chiacchiere con gli altri coloni, con gli arabi, così diversi dagli ebrei, ma non per questo è impossibile conviverci, tuttaltro, il terrorismo dei nazionalisti sionisti eccetera eccetera: ci sono tante cose belle in queste ricche pagine infarcite di dialoghi a volte buffi, a volte profondi, a volte sospesi, e descrizioni, lunghe e brevi, sempre interessanti e avvincenti.
Le foto che ho inserito sono parte di un progetto realizzato dal fotografo Tamas Revesz, ungherese come Kardos, che nelandò in Israele insieme al romanziere alla ricerca dei passi e delle esperienze che generarono questo romanzo.
Purtroppo Kardos morì prima di vedere completata lopera,
E così Revesz ha pensato di omaggiarlo intervenendo sulle sue foto, manipolandole al computer e stampandole su carta fatta a mano, in modo che non fossero né vere foto né quadri né acquerelli, ma solo impressioni di un viaggio con un amico caro.
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